Nobiltà

Dal concorso "La scienza narrata 2012/2013"

Tutti là fuori trovavano l’anima gemella. Ma non lui, lui era solo. Tutto sommato, gli stava bene così: non aveva mai avvertito la necessità di qualcuno che gli volesse bene, né desiderava mischiarsi alla plebaglia sottostante. Era solo dalla nascita, ed era stato educato a sentirsi superiore alla gente comune, così aveva finito per sviluppare quel sentimento di alterigia o forse vera xenofobia tipico dei nobili. Non era una cattiva persona in sé, anzi, si comportava sempre con compostezza e formalità, ma non lasciava mai una buona impressione. Del resto, cosa si può pensare di qualcuno che si tiene sempre a un metro di distanza e non toglie mai i guanti, come se temesse il contatto fisico? Quando poi si trattava di utilizzare abiti o strumenti appartenuti ad altri, diventava intrattabile e blaterava paranoie di ogni genere.


Era fatto così, viveva nella sua autarchica solitudine e non capiva quale misteriosa forza spingesse gli altri a cercare la persona della loro vita. Li aveva osservati a lungo, perché in fondo quel comportamento suscitava in lui una certa curiosità. Si era stupito quando aveva notato che molti di quei rapporti erano a senso unico: ai suoi occhi, l’affetto era come un flusso asimmetrico, che prosciugava il piccolo per accrescere il grande. Per lui, che era cresciuto leggendo poemi cavallereschi e nobili poesie, una simile concezione dell’amore, dove c’è chi da’ e c’è chi riceve, era inaccettabile. Per lui esisteva solo la nobiltà, e se l’amore non nobilitava l’animo, andava disprezzato. Ora non si faccia di tutta l’erba un fascio: c’erano anche tante relazioni di altro genere, e di certo non sfuggirono al suo occhio attento. Ben più gradevoli erano quelle unioni basate sulla condivisione e sul comune sacrificio, dove entrambi i membri contribuivano in egual modo al legame. Naturalmente era ben distante dall’invidiarli, ma riconosceva loro una maggiore dignità rispetto ai primi.
Un’altra cosa che non sopportava della gente comune era la facilità con cui si innamoravano. Non aveva mai creduto nei colpi di fulmine: se davvero l’amore era un sentimento profondo, come dicevano, non poteva che nascere da una lunga e meditata coesione. Invece loro si incontravano, si presentavano e, dopo un battito di ciglia, se ne andavano in giro assieme, l’uno appiccicato all’altra. Semplicemente, succedeva!
Più si sforzava di capire, più ne usciva confuso, e finiva sempre per cercare rifugio nei suoi amati e vecchi trattati sul galateo e la cavalleria, nei quali riusciva a trovare un minimo di coerenza. Ma non era un problema. Era solo e stava bene così, non aveva bisogno degli altri né di comprenderli! Non gli importava di sapere se esistessero altri come lui o quali sarebbero stati i suoi rapporti con essi, perché stava bene da solo. Sapeva di essere un minuscolo punto nella vastità dell’universo che lo circondava, ma non gli interessava. Bastava a se stesso, con i suoi due protoni, due neutroni e due elettroni, in tutta la loro nobiltà. Era solo e si chiamava elio.

Mantoan Andrea

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